Attacco a Londra, dove si nasconde l'estremismo islamico

04 giu 2017
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È l’unico quartiere non segnato sulle mappe ma è il più grande, una città nella città, un quartiere diffuso, in espansione costante: è la Londra dei musulmani, quasi tutti immigrati dal dopoguerra in poi, oltre un milione di abitanti in una metropoli da quasi 9 milioni, il 12,4% dell’intera popolazione in media, perché in alcune aree dell’East London la percentuale supera ormai il 50%. Londonistan è il termine vagamente dispregiativo con cui spesso ci si riferisce alla comunità islamica londinese e non è un caso che la parola, coniata durante la guerra in Afghanistan, sia tornata di moda dopo gli attentati alla metropolitana del 2005. Oggi siamo lontani dagli anni Novanta. Oggi nella Londra musulmana integrata nella vita democratica del Paese non si può far finta di non vedere la città invisibile molto più piccola ma gonfia di odio e intolleranza religiosa, quella che attraversa quartieri ufficiali della città da Brixton a Regent's Park, da Bethnal Green a Brick Lane, per puntare dritto verso East London, oltre i moderni grattacieli di Canary Wharf. È una città che fa paura quella che ruota attorno alla moschea estremista di Finsbury Park, nel cuore ristrutturato dell’East End. Da qui viene il primo fermato per l’attacco al London Bridge. Qui, a Barking, stanno le abitazioni perquisite da Scotland Yard nelle prime ore dopo l’attentato. È l’East End la residenza per nove anni del presunto ventesimo dirottatore dell’11 settembre e proprio a Finsbury Park ha predicato per anni l’imam Anjem Choudary, a capo di gruppi estremisti che l’organizzazione antirazzista Hope Not Hate ha definito la principale porta di accesso al terrorismo della storia britannica. Finora a Londra la linea dura contro l’Islam estremista non ha mai pagato, l’Islam qui conta a prescindere. In fondo non è un caso se proprio qui hanno eletto il primo sindaco musulmano di una metropoli occidentale.

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