Donald Trump lo dice e lo ripete: non è un bando contro i musulmani. Nessuna discriminazione religiosa, sostiene la Casa Bianca, ma di fatto l’ordine esecutivo che ferma per quattro mesi l’immigrazione da sette Paesi a maggioranza islamica rappresenta una frattura senza precedenti, che ha generato sconcerto e preoccupazione tra i musulmani d’America, come ci spiegano nel cuore di una delle comunità musulmane più importanti di New York. “Abbiamo molta paura. In questi giorni nella mia famiglia qualcuno ha anche pianto”. Lei è siriana, di Raqqa, la città simbolo dell’Isis. È qui da quasi dieci anni. Da tre sta provando a far arrivare negli Stati Uniti anche il padre: “Io continuo a sperare, ma ora mi sembra tutto più difficile” ci dice, spiegandoci, però, che non vuole andar via dagli USA: “I miei figli sono nati qui e non posso lasciare gli Stati Uniti. La nostra vita è qui. La nostra seconda vita è qui. Questo è il mio Paese ormai. Non ho altro posto dove andare”. La moschea è qui dagli anni Novanta, un punto di ritrovo fondamentale per gli oltre 20.000 musulmani che fanno parte di questa comunità. Come ci ha spiegato il direttore della Moschea, soprattutto in questi ultimi giorni sono pervasi dalla paura: “C’è molta paura tra noi. La gente non sa cosa potrà accadere, per esempio, alle loro mogli per strada. Io sono un uomo e nessuno, se mi vede per strada, può dire con certezza che io sono musulmano, ma se vedi mia moglie capirai subito che è musulmana, perché porta il velo. Si capisce e, quindi, ecco che arriva la paura per la sicurezza delle nostre donne e dei nostri figli”. Di paura ci parlano anche due ragazzi di origine yemenita che incontriamo in uno dei bar del quartiere: “Ho ancora buona parte della mia famiglia nel mio Paese. Fra l’altro, avevo in programma di andare presto nello Yemen e portare mia madre qui negli Stati Uniti, ma forse non sarà possibile, e questo dovrebbe farci riflettere tutti perché è una cosa che riguarda l’umanità. Da musulmano, nonché yemenita, mi auguro davvero che la situazione cambi”. Abdul, invece, non perde la speranza, rincuorato anche dalle manifestazioni di sostegno, che si auspica possano continuare: “Se rimarremo uniti e ci faremo sentire per i nostri diritti, secondo me, riusciremo a ribaltare questo ordine esecutivo. Credo che, lavorando insieme, potremmo davvero risolvere questa situazione”.