Non potrebbero essere più diversi. Divisi su tutto, eppure inaspettatamente uniti da un insolito destino. Il presidente degli Stati Uniti Biden e il suo predecessore Trump si trovano entrambi indagati dal Dipartimento di Giustizia per lo stesso reato: possesso improprio di documenti governativi classificati. Anche se sul piano legale alcune circostanze - come l’immediata restituzione delle carte - potrebbero costituire delle attenuanti per l’attuale inquilino della Casa Bianca, su quello politico la sua posizione rischia di essere perfino più grave di quella dell’ex. E’ vero: i documenti trovati a casa Biden sono molti meno, ma dopo aver stigmatizzato duramente il caso Trump - “Come si fa a essere così irresponsabili!” disse l’estate scorsa - è difficile non passare per ipocriti. Anche perché, caso strano, il ritrovamento dei primi documenti risale a pochi giorni prima alle elezioni di novembre: è stato tenuto nascosto finora perché nel frattempo gli uomini del presidente hanno dovuto controllare le sue altre residenze private o c’è stato un cinico calcolo politico? I repubblicani si godono questo assist inaspettato: in un momento di gloria - dopo le elezioni andate meglio del previsto, il gradimento in crescita, l’inflazione giù, l’economia su - Biden fa autogol. Con la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, stanno approntando Commissioni d’inchiesta sugli affari della famiglia del presidente democratico per vendicarsi di anni di accanimento contro Trump. Il quale - va detto - ci ha messo però anche del suo. Appena rimediata una condanna per frode fiscale con la sua società immobiliare, ha ancora sul capo una causa civile dello Stato di New York per plusvalenze fittizie, un’indagine criminale in Georgia per interferenze sulle presidenziali persa nel 2020, e quella per l'istigazione dell’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Che volete che siano, al confronto, due documenti top secret trattenuti come souvenirs.