Come un giocoliere impegnato a tenere tutto in movimento, senza far cadere nulla. Così il Presidente degli Stati Uniti cercare di districarsi su tre fronti, senza rompere alleanze storiche nè compromettere relazioni future. In Afghanistan Joe Biden è finito ostaggio dei talebani, che adesso pretendono il rispetto della scadenza nel ritiro delle truppe che si è dato da solo. Sul palcoscenico internazionale fronteggia a suon di rassicurazioni gli alleati, la cui insofferenza è malcelata e forse, vista da qui, anche un po' ipocrita. Perché il dietrofront americano non è certo una sorpresa e perché gli Stati Uniti in Afghanistan hanno speso in vita e denaro molto più di chiunque altro. Infine, nei confronti dell'opinione pubblica interna, guidata dagli stessi giornali che ne hanno celebrato i successi contro la pandemia ma che ora parlano di crollo nel gradimento, mentre perfino il Congresso, in maniera bipartisan, rumoreggia e chiede una estensione della missione. Anche se fino a ieri porre fine a quella guerra e andar via metteva tutti d'accordo. Dalla Casa Bianca provano a far parlare i fatti, snocciolano le cifre del ritiro. Dalla fine di luglio sono state evacuate 75900 persone tra americani, afghani e alleati, come a dire "più di così non possiamo fare". Per tutti gli uomini del presidente è l'incubo peggiore, fare la figura dei perdenti nonostante i risultati. La Casa Bianca conferma che il ritiro, entro fine mese, si può ancora concludere ma chiede ai vertici militari di prepararsi a ciò che chiama un aggiustamento, se dovesse rendersi necessario. Dei 5800 marines dispiegate all'aeroporto di Kabul per garantire la sicurezza del ponte aereo, nella capitale infestata dai talebani, 300 sono già stati richiamati, altri lasceranno il paese già nel fine settimana, mano a mano che l'evacuazione viene completata.