Oltre 1.500 persone fermate, una settantina di feriti, e solo per miracolo non c'è scappato il morto come due anni fa a Washington. L'attacco alla democrazia in Brasile, è avvenuto appena due giorni dopo la ricorrenza americana. Non si è limitato al Congresso, ma ha preso di mira anche la Corte Suprema e gli uffici presidenziali, dove migliaia di sostenitori dell'ex presidente Bolsonaro, hanno fatto irruzione domenica scorsa per reclamarne il reinsediamento dopo il tiratissimo ballottaggio vinto dal suo avversario Lula. La polizia e l'esercito hanno ripreso il controllo degli edifici governativi devastati dai supporter del leader di estrema destra, nel giro di qualche ora, trovando all'interno cinque granate inesplose. I complottisti saranno puniti, ha detto Lula, che durante la rivolta non era nella capitale Brasilia e non è mai stato in pericolo. Le autorità hanno dato disposizioni di sgombero degli accampamenti improvvisati in diverse città dai supporter di Bolsonaro, che come in un film già visto, non ha mai riconosciuto la sconfitta di ottobre, preferendo parlare di elezioni truccate, senza però, fornirne prova. E che solo dopo qualche ora, ha condannato l'irruzione, respingendo però le accuse di averla fomentata. Il Parlamento valuterà adesso l'istituzione di una commissione che indaghi sull'attacco, il più grave dalla fine della dittatura militare di 38 anni fa. Al presidente Lula, entrato in carica il primo gennaio, è arrivata la solidarietà delle istituzioni europee e del summit nordamericano, riunito a Città del Messico. Obrador, il canadese Trudeau e l'americano Biden, si sono detti impazienti di lavorare con lui. Un Brasile debolsonarizzato, piace infatti alla Casa Bianca perché permette di dialogare meglio con il primo dei BRICS, l'alleanza anti G7 formata da Russia, India, Cina, Sudafrica e appunto, Brasile, che rappresenta le più grandi economie emergenti del mondo. Nel frattempo, ironia della sorte, Bolsonaro ha trovato riparo dalla giustizia brasiliana, proprio negli Stati Uniti, dove è scappato due giorni prima dell'insediamento di Lula, entrando con il visto diplomatico da Capo dello Stato prima che gli fosse revocato. Se richiesto, Washington potrebbe estradarlo, ma l'ex presidente si è appena fatto ricoverare per dolori addominali, e ancora per qualche giorno potrà prender tempo a Orlando, in Florida, a poca distanza dal suo grande amico, Donald Trump.