Se nel Regno Unito Remainer e Brexiter sono sempre più rumorosi e chiedono sempre di più, qualcuno addirittura chiede la sua testa, è dalla Cina, dove non a caso sta firmando accordi bilaterali per nove miliardi di sterline, che Theresa May mantiene dritta la barra dell’Esecutivo e, visto che la miglior difesa è l’attacco, sfida l’Unione europea. “I cittadini europei che arriveranno nel Paese durante il periodo di transizione post Brexit non avranno gli stessi diritti di quelli arrivati prima del 29 marzo 2019”, scandisce il Primo Ministro, sottolineando: “È normale che sia così. I britannici non hanno votato per la Brexit per poi ritrovarsi senza alcun cambiamento”. Vogliono la Brexit e daremo loro la Brexit, insomma, che nella versione dell’attuale inquilina di “Number 10” rimane una hard Brexit, motivata nel 2016 soprattutto dalla questione immigrazione, ed è per questo che il dossier è tanto sensibile, ma è sensibile su entrambi i lati della Manica. Così quelle parole, che in patria dovrebbero rassicurare gli ortodossi del Leave, hanno ovviamente scatenato la reazione dura di Bruxelles. “La questione non è negoziabile”, la risposta di Guy Verhofstadt, l’uomo del Parlamento europeo al tavolo delle trattative, tavolo dove la fase di transizione è la priorità. Per l’UE, Londra dovrebbe essere parte di mercato unico, che prevede anche la libera circolazione delle persone, e unione doganale, pur senza sedere poi nella stanza dei bottoni. Per il Regno Unito, la soluzione dovrebbe essere più sfumata, e tra quelle sfumature ci sarebbero anche i diritti dei cittadini comunitari.