Alla fine solo in 20 hanno detto no. In 438 sono stati d'accordo. L'unico modo per superare l'impasse in cui si dibatte a Westminster da almeno 10 mesi di voti parlamentari inconcludenti è tornare alle urne. È così il paese, un tempo sinonimo di stabilità, si trova a dover affrontare le sue terze elezioni politiche in meno di cinque anni. 12 dicembre la data da segnare sul calendario, elezioni natalizie e non succedeva da un secolo. “Questa incertezza sta corrodendo la fiducia nella politica” aveva perorato la causa Boris Johnson, “Faremo una campagna ambiziosa e radicale per il cambiamento”, aveva raccolto la sfida, Jeremy Corbyn, convinto dall'ennesima proroga della Brexit. E sarà proprio la Brexit a dominare le prossime settimane. Boris, che ha voluto lezioni sull'addio all'Unione europea, spingerà il suo accordo. Jeremy, che preferisce i temi della lotta alle disuguaglianze, dovrebbe comunque promettere una ratifica popolare. Sullo sfondo rimangono le incognite dei partiti che avevano dominato le europee di sei mesi fa, ma allora il sistema era proporzionale non maggioritario. I LibDem, unici sostenitori della revoca dell'articolo 50, spina nel fianco dei laburisti e il Brexit Party di Nigel Farage, oltre il 30% a maggio, ma allora a Downing Street c'era Theresa May. Due incognite e un rischio, un Parlamento nuovamente appeso, privo di una maggioranza netta, incapace, dunque, ancora una volta, di percorrere l'ultimo miglio sulla strada della Brexit. Rischio concreto, Donald Tusk, nell'annunciare il via libera definitivo al nuovo rinvio da parte dell'Europa, avvisa “Potrebbe essere l'ultimo, fate buon uso di questo tempo. Io vi saluto, incrocio le dita per voi”.