“La Brexit non è la fine di tutto, dobbiamo anzi farla diventare l’inizio di qualcosa di nuovo e di più forte”, dice Jean-Claude Juncker, all’indomani dell’attivazione, da parte del Regno Unito, delle procedure per l’uscita dall’Unione europea. Il Capo della Commissione punta anche il dito contro Donald Trump che auspica che altri Paesi seguano la stessa strada di Londra: “Se continua così, inizierò a promuovere l’indipendenza dell’Ohio”, aggiunge Junker, scherzoso ma non troppo, parlando dal congresso del PPE a Malta, di fatto monopolizzato dal dibattito sulla Brexit e sulle sue cause. A partire dalla paura, degli europei, verso l’ondata migratoria. La Cancelliera Merkel, che a Malta ha avuto un bilaterale informale con Silvio Berlusconi, difende la sua politica delle porte aperte, ricordando che il modo migliore per proteggere le frontiere europee è quello di dare una risposta ai motivi per cui la gente scappa da certi Paesi. “Dobbiamo sfidare i populisti e riappropriarci di parole come sicurezza e sovranità”, ribatte il Presidente del Consiglio europeo, Tusk, che tra poche ore presenterà ai 27 le linee guida per le negoziazioni con Londra. Su alcuni punti i leader sono tutti d’accordo: garantire i diritti dei cittadini europei che si trovano in Gran Bretagna e far pagare a Londra il conto degli impegni già presi con Bruxelles, stimati intorno ai 60 miliardi. Nessun cherry picking, insomma, che tradotto significa che il Regno Unito non potrà scegliersi solo il meglio. Che si arrivi a un accordo entro due anni non è affatto scontato. L’alternativa, però, trattati alla mano, è che Londra esca comunque dall’Unione europea con una cosiddetta hard brexit che secondo alcuni studi della Commissione impatterebbe per il 5 per cento sul PIL britannico, ma solo dello 0,1 per cento sul PIL complessivo dei restanti 27 Paesi membri.