Ultimo giorno di udienza e nulla da aggiungere. Dopo mesi di dichiarazioni e testimonianze i 52 accusati nel processo di Mazan, a 30 chilometri da Avignone, che vede protagonista in Francia Gisèle Pélicot, per 10 anni sedata è fatta stuprare dal marito, hanno avuto, lunedì 16 dicembre, l'ultima occasione per parlare in aula, prima che i giudici si ritirassero per ragionare sul verdetto. La quasi totalità degli accusati ha scelto di non farlo. Chi l'ha fatto ne ha approfittato per scusarsi con la vittima. Come Dominque Pélicot, l'uomo che ha ammesso di aver voluto mettere in atto le sue fantasie di sottomettere una donna libera, come sua moglie. Questo lunedì ha di nuovo chiesto perdono alla sua famiglia per ciò che ha fatto. Gisèle Pélicot è rimasta muta, gli occhi al soffitto o sul cellulare. La 71enne è stata presente in aula quasi ogni giorno dall'inizio del processo il 2 settembre scorso. Le volte in cui ha preso la parola si è definita una donna distrutta, ma speranzosa di poter vedere cambiare in meglio la società francese, una società che ha definito maciste e patriarcale. E in effetti il processo, che per sua volontà è stato reso pubblico e non a porte chiuse, ha aperto un forte dibattito sul consenso in Francia, portando l'Eliseo e il Ministero della Giustizia a dirsi a favore di un cambiamento della definizione legale di stupro, per includervi l'elemento del consenso. Un iter ancora ad avviare, rallentato dal cambio di governo recente. Ma che fa sperare i movimenti femministi nel Paese che da anni lottavano per questa modifica. Intanto gli occhi sono puntati sul verdetto di questo caso, già divenuto esemplare. La decisione è attesa tra giovedì e venerdì di questa settimana.