C'è un misto di eccitazione e incoscienza tra chi assiste allo scoppio dell'artiglieria pesante armena e della contraerea azerbaigiana. Una strana euforia incosciente di chi è cresciuto sulla linea di un antico fronte. Il Caucaso torna a infiammarsi nell'autoproclamata regione autonoma nel Nagorno-Karabakh, dove gli armeni cristiani combattono contro i musulmani azerbaigiani ormai da quasi 30 anni. Una tregua trentennale, fatto salvo qualche sporadico scontro, l'ultimo più rilevante a luglio, si è rotta da 24 ore, il Nagorno Karabakh è tornato ad essere scacchiere delle partite di peso e diplomazia internazionale. L'Azerbaigian accusa le forze armene di aver provocato lo scontro e obbligato ad una reazione Baku, mentre il premier armeno respinge e accusa l'Azerbaigian di aver inviato aerei a bombardare la città di Terter. Difficile se non impossibile in queste ore appurare la verità. Certa è la mobilitazione generale dei militari dei due schieramenti, Baku ed Erevan hanno dichiarato lo stato d'emergenza e varato la legge marziale. Mentre la fanteria è sostituita dai droni e dall'artiglieria pesante, Mosca, l'Unione Europea e l'Onu chiedono un immediato cessate il fuoco, ma la Turchia di Erdogan non si ferma e rinsalda il fronte sostenendo i musulmani azerbaigiani. Dall'Osservatorio siriano per i diritti civili a Londra l'inquietante notizia, Ankara nei giorni scorsi ha inviato i mercenari veterani della Siria a combattere contro gli armeni, gli acerrimi nemici di sempre della Turchia, accusati di essere invasori. Sullo sfondo del contrasto le autostrade del petrolio russo, oleodotti che portano petrolio e gas naturali del Caspio al resto del mondo.