La battaglia a colpi di bastoni, lance di bambù e sassaiole è durata tutta la notte. Alla fine il bilancio ufficiale è di 20 vittime, tutte indiane, anche se alcuni media locali sostengono vi siano anche vittime cinesi. È la prima volta dal 1975 che le frequenti tensioni lungo i confini, oltre 3500 chilometri di frontiera, causano vittime e nonostante i rispettivi Governi si siano subito affrettati a gettare acqua sul fuoco, ieri sera una lunga telefonata tra i due Ministri degli Esteri chiedendo un incontro chiarificatore, nei due Paesi, entrambi dotati di ordigni nucleari e che con oltre 3 miliardi di persone rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale, crescono le istanze nazionaliste. Il premier indiano, Narendra Modi, accusato di codardia da parte dell'opposizione, ha dichiarato le vittime eroi nazionali, ha affermato che l'India è un Paese sì pacifico, ma che se provocato è capace di reagire con forza e determinazione. Ma anche in Cina, mentre il portavoce del Governo si limita a denunciare l'ennesima violazione degli accordi, invitando l'India a punire i colpevoli dello sconfinamento, alcuni giornali come il Global Times auspicano una sonora lezione. Nessuno può provocare la Cina e minacciare la sua sovranità territoriale impunemente, si legge in un suo editoriale. Nel 1962 il rischio di una vera e propria guerra tra i due Paesi venne scongiurato dall'intervento decisivo dell'allora Presidente John Fitzgerald Kennedy e anche in questi giorni il Presidente Trump si è proposto come mediatore, offerta peraltro immediatamente respinta da entrambe le parti. Segno, secondo molti osservatori, di quanto il ruolo degli Usa sia diminuito in questa parte sempre più rilevante del pianeta.