Se due cittadini UE dello stesso sesso si sposano in uno dei 27 paesi membri, all'interno del quale il diritto al matrimonio tra coppie omosessuali è lecito, la loro unione deve essere riconosciuta in qualunque altro Stato membro. È quanto afferma una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea, che il 25/11 si è pronunciata su un caso scoppiato in Polonia nel 2018. Dopo essersi sposati a Berlino, due cittadini polacchi avevano chiesto la trascrizione dell'atto di matrimonio nel registro dello stato civile polacco, affinché la loro unione fosse riconosciuta anche nel loro stato membro d'origine. Ma le autorità competenti avevano rifiutato la domanda, dato che in Polonia il matrimonio tra persone dello stesso sesso, è costituzionalmente vietato dal 1997. Da qui la decisione della Corte di Lussemburgo, secondo cui il rifiuto, di riconoscere un matrimonio legalmente contratto in un altro Stato membro, sarebbe contrario al diritto dell'Unione, in quanto violerebbe non solo il diritto alla libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini, ma anche la loro vita privata. In sostanza, i coniugi che hanno costruito una vita familiare in uno stato membro ospitante, devono essere certi di poterla proseguire anche al ritorno nel loro stato di origine. L'obbligo di riconoscimento, ha poi ricordato la Corte, non implica che lo Stato interessato debba introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel proprio diritto interno. Gli Stati membri rimangono competenti sulle modalità del riconoscimento e sulle norme matrimoniali, senza però discriminazioni verso le coppie gay. .























