Da un lato i dati, dall'altro la difficoltà per una gran parte di mondo di rispettare le regole del lockdown. Da un lato i 3 milioni e mezzo di casi confermati da inizio epidemia, dall'altro le immagini di una chiusura che pesa e piega paesi e città molto più di altri. L'India degli slum, come il Brasile delle favelas. Ad ogni latitudine e longitudine le immagini dal mondo ci restituiscono la voglia che appartiene a tutti di riappropriarsi delle proprie abitudini. Nell'Hubei, la provincia cinese epicentro dell'epidemia dove, secondo i dati dell'agenzia ufficiale Xinhua, non si registrano nuovi casi da 32 giorni, il parziale ritorno alla normalità è nella riapertura delle scuole. Dopo 4 mesi di sospensione stamane gli studenti di Wuhan sono tornati a scuola con mascherine, distanziamento sociale tra i banchi e rilevatori di temperatura all'ingresso. Si cerca di evitare il collasso di un sistema economico già fragilissimo nei paesi dell'America latina, dove il comparto alimentare tenta, seppur lentamente, di ripartire con tutte le precauzioni previste dai protocolli sanitari. Anche il Brasile, dove si registrano 600 decessi nelle ultime 24 ore, la cifra più alta dall'inizio della pandemia, si prova lentamente a ripartire da oggi con l'uso delle mascherine che diventa obbligatorio. In Vietnam, dove le restrizioni sono state già allentate da qualche settimana, il Governo ha riaperto le scuole per 22 milioni di bambini, ragazzi e studenti universitari, dopo che per il diciassettesimo giorno consecutivo non sono stati più registrati casi di contagio. E' dai banchi, dunque, che si prova a ripartire, restituendo ai più giovani una parziale libertà, la cui assenza ha pesato sicuramente più che su altri.