Forse ho fatto degli errori anch'io, ma sono stato nel giusto molto più spesso di altri. Parole di Donald Trump, che sembrano come un primo parziale mea culpa e che comunque sono un passo importante per un leader che, come spiega nel suo libro “L'arte dell'accordo”, ha come regola di vita quella di non ammettere mai di aver sbagliato perché lo rende debole di fronte ai suoi avversari. Eppure persino Trump di fronte alle tragiche conseguenze di un virus che sta mettendo in ginocchio gli Stati Uniti ancor più di quanto abbia fatto in Cina o in Europa è obbligato a riequilibrare alcune sue avventate e sconsiderate posizioni. Nella stessa intervista ad esempio ha detto chiaramente di credere molto nell'importanza delle mascherine, pur non volendo introdurre un obbligo di indossarle a livello federale. Nel fine settimana, dopo che a Tulsa, in Oklahoma, si sta vedendo un'impennata dei contagi a seguito del suo comizio di un paio di settimane fa, si è piegato anche a fare un evento elettorale al telefono, spiegando che finché non passerà l'emergenza organizzerà sempre più comizi a distanza. Certo, rimane in piedi, almeno finora, la Convention di fine agosto a Jacksonville, in Florida, uno dei principali focolai di queste settimane di contagi record che hanno portato il Paese a superare i 3 milioni e mezzo di casi con quasi 150000 morti. Ma questo resta parte delle contraddizioni del Presidente che ancora si rifiuta di prendere concretamente in mano la crisi e preferisce lasciare ai singoli Stati gestione, responsabilità ed eventuali colpe, così come alla comunità scientifica con il duello a distanza che continua con il dottor Anthony Fauci, che Trump, pur precisando di avere un buon rapporto con lui, ha definito nelle ultime ore un allarmista. E questa gestione al momento non sta pagando a livello elettorale. A seconda degli istituti di rilevamento in vista del voto del prossimo 3 novembre Donald Trump è dato fra i 20 e i 10 punti sotto a Joe Biden.