Il letto a castello di una cameretta, una sedia da ufficio per lavorare da casa, tende che sventolano e un tappeto che penzola. Gli oggetti più privati di decine di famiglie esposti all'oceano ma non sembra esserci più vita in quel che resta degli appartamenti della torre sud del condominio Champlain venuto giù all'improvviso senza un perché in mezzo alla notte. E' una zona di guerra dice Mike che si è catapultato qui da New York poche ore dopo il disastro perché in quel palazzo abitano lo zio e i cugini. E' come se fosse stato bombardato. Alla spicciolata insieme agli uomini della sezione investigazioni criminali arrivano anche gli esperti forensi in analisi del DNA. Non è un buon segno ma dopo due giorni senza aver registrato indizi vitali ci si prepara al peggio. Lo abbiamo chiesto noi dice con forza Maurice ma nessuno ci ha ancora prelevato dei campioni per fare raffronti. Le macerie dei 12 piani accartocciatisi come un pancake, uno sopra l'altro, sono alte una decina di metri. Si cerca coi cani, con i sonar, con i droni ma Mike non è convinto. Indica esattamente dove era l'appartamento al secondo piano dei suoi parenti. Lì sotto ci sono tre persone, dovrebbero rimuovere i detriti con le mani e invece usano uno scavatore arrivato 40 ore dopo il crollo. Non è un'operazione di salvataggio, accusa Maurice, è un'operazione di recupero, tutto quello che vi stanno facendo vedere, il darsi da fare semplicemente non sta accadendo. La speranza di trovare qualcuno in vita c'è ancora ma più passa il tempo più diventa difficile. Le autorità smentiscono che gli strumenti abbiano finora raccolto voci o rumori riconducibili ad esseri umani, solo scricchiolii nel palazzo che cede e che viene esplorato dalle fondamenta e dall'alto con una lentezza che non può placare l'angoscia di chi attende notizie.