Non è questione di sé piuttosto di quando perché se c'è un primo dato da prendere in considerazione nelle ultime elezioni in Groenlandia che hanno visto la sorprendente affermazione del Partito democratico, è che l'isola artica chiede con forza l'indipendenza. Non a caso l'altra performance sorprendente del partito nazionalista, che ha quasi raddoppiato la base di consensi e che ha come primo punto della piattaforma quello di separarsi definitivamente dalla Danimarca, di cui la Groenlandia è un territorio autonomo. Autonomo ma non abbastanza, verrebbe da dire. Anche se quasi sessantamila abitanti dell'area più settentrionale del mondo hanno già detto no all'Unione Europea proprio per rivendicare la propria autonomia che nel 2008 hanno votato a favore di una maggiore indipendenza da Copenaghen. Insomma, il messaggio sottoscritto dall'affluenza delle urne inedita è chiaro. Già, ma in cosa consisterebbe questa autonomia? La Groenlandia, finora negletta dall'agenda internazionale, ha visto avvivarsi e l'interesse nei suoi confronti dopo le esternazioni trumpiani su una possibile annessione dell'isola più grande del mondo. Con questo voto i groenlandesi sembrano voler mandare un messaggio chiaro alle avances americane, ma resta il fatto che con una popolazione così esigua e un territorio immenso, in gran parte oltre il circolo polare, il sogno di una nazione autosufficiente è del tutto irrealistico. Il nodo, del resto, è sempre economico ambientale, cioè il dilemma se sfruttare le enormi risorse inesplorate minerali strategici, gas e petrolio che fanno gola a tutte le superpotenze o compromettere un territorio fragilissimo che paga un pesante dazio per il riscaldamento globale. Quale che sia la risposta che Nuck vorrà dare, resta il fatto che comunque i democratici e Nac non hanno la maggioranza e dovranno creare una coalizione. E per quanto con forza vogliano preservare la propria indipendenza, dovranno scendere a patti con la dura realtà del compromesso politico.