Eletto dopo ondate di proteste undici anni fa, il Presidente senegalese Macky Sall, per certi versi, è ripagato con la stessa moneta. La sua decisione di rinviare le elezioni presidenziali ha infatti scatenato un’andata di manifestazioni incontenibile, con almeno tre morti e decine di feriti. Una violenza così diffusa da aver spinto il governo a sospendere internet, la telefonia mobile e la televisione, con l'obiettivo di far tacere i messaggi di odio che inquinano il clima. Una mossa che però, ben lungi dal raggiungere l'obiettivo, ha invece alimentato altri disordini. Non è facile comprendere il perché del caos in cui sta precipitando uno dei Paesi più stabili e ricchi dell'Africa occidentale. Visto dall'esterno, il Senegal, sembra quasi un'eccezione; affacciato sul pescoso Golfo di Guinea trae il 30% della sua richiesta dall'industria ittica, mentre quasi il restante proviene dall'agricoltura, in particolare delle arachidi di cui è uno dei leader mondiali. Recenti scoperte di giacimenti di gas avevano illuso di un possibile benessere prossimo futuro. Non solo, il Paese ha una lunga tradizione democratica, è uno dei primi a decolonizzarsi nell’area, e ha adottato tutte le più importanti convenzioni internazionali. Il 90% della popolazione è musulmana, e al nord è tecnicamente Sahel, eppure non è stato ancora toccato dal jihadismo, almeno non in modo significativo se si pensa che confina con il Mali. Una stabilità molto fragile, perché ora l'eccezione Senegal sembra vacillare. Unico Paese dell'area a non subire i colpi di stato adesso rischio una deriva autoritaria che lo allineerebbe a Burkina Faso, Mali e Niger, solo per citare i più recenti. La decisione di incarcerare il leader dell'opposizione Ousmane Sonko con accuse pretestuose è stato il segnale. E poco conta che il Ministro della Giustizia, Aissata Tall Sall, difende la decisione da un punto di vista formale, il Paese non la pensa così.