È considerato un piantagrane dalla Cina. William Lai, candidato alle presidenziali, è la più chiara espressione dell'indipendenza di Taiwan. È stato in testa fin dalla prima mezz'ora dall'inizio dello spoglio. Oltre la metà il suo vantaggio si è rafforzato, superando il 40%. Pechino minacciosa ha inviato intorno all'isola ribelle jet, navi militari e palloni spia. L'afflusso, per un'elezione che Pechino disapprova, è stato record. Ha raggiunto il 70%, a rimarcare che la popolazione in ogni modo intende preservare la democrazia. Anche il secondo candidato in ordine di consenso, l'ex poliziotto nazionalista Hou Yu-ih, seppure tradizionalmente più vicino a Pechino, ha chiarito in campagna elettorale che non è sua intenzione svendere l'isola alla Cina. Tuttavia lo stacco resta massiccio. Per un colloquio con gli Stati Uniti e Giappone è orientato il terzo candidato, Ko, il dottore, ex sindaco di Taipei, in lista per il Partito Popolare. Si è rivolto soprattutto ai giovani delusi per gli stipendi troppo bassi e gli affitti alti. Con il proseguire dello spoglio ha perso però progressivamente quota. Il Partito Democratico di Lai è oramai alla guida del paese da due mandati. La Cina lo accusa di acquistare armi degli Stati Uniti, che invece sostengono la libertà di scelta degli isolani. L'esercito cinese, alla vigilia delle elezioni, ha ricordato di essere pronto e determinato a schiacciare ogni complotto indipendentista. I social, che diffondono notizie sull'elezioni, sono stati oscurati. Taiwan è indipendente dal 1949. La Cina non la riconosce e considera l'annessione un naturale passaggio storico. E se la guerra, in caso di vittoria di Lai, è evocata dalla Cina con messaggi brutali, una distensione delle relazioni diplomatiche con gli Usa pare, secondo gli analisti, scongiurarla.