Volodymyr Zelensky non ha dubbi. Dietro alla serie di esplosioni in Transnistria c'è la mano di Mosca. A Washington sono cauti e dicono di voler approfondire l'indagine. Per Vadim Krasno-Selskij leader dell'auto proclamata Repubblica filorussa, collocata al confine tra Moldavia e Ucraina, invece è chiaro che la responsabile sia Kiev. La presidente moldava, Maia Sandu invece, le attribuisce a scontri tra frazioni interne. Insomma, ognuno ha una risposta, ma i dubbi sulla dinamica di queste esplosioni sono tanti, e a seconda di chi sostiene la propria versione, ci sono validi motivi per difenderla. L'Ucraina, perché la Transnistria rappresenta il fianco debole del Paese, una Repubblica non riconosciuta internazionalmente, ma che ha il sostegno della Russia, la cui capitale Tiraspol dista 100 km da Odessa. E che ha nei suoi confini 1500 militari di Mosca. Oltre, si sospetta, al più grande deposito di munizioni dell'est Europa. Munizioni russe ovviamente; in questo caso, l'attacco sarebbe una false flag: un pretesto per aprire fronte ovest nel conflitto ucraino e legittimare l'intervento russo. Anche Washington, probabilmente la pensa così, ma le informazioni sono scarse e difficili da verificare dato il contesto. Quanto a Mosca, la preoccupazione è fondata: se sono veri i timori di un'escalation, la Transnistria rappresenta il caso di studio. Qualora dovesse espandersi anche alla Moldavia, la guerra in Ucraina potrebbe intraprendere una china difficilmente controllabile. Quanto la Transnistria, anche lei ha le sue ragioni. In fondo, appunto è un vulnus nella difesa ucraina, mandargli un segnale per impedire di sostenere, ancora di più verrebbe da dire, la Russia, non è insensato. Anche se improbabile che Kiev si lanci in un attacco su due fronti. Infine, anche quanto sostiene la Moldavia non è del tutto improbabile; in fondo, la Transnistria è un territorio instabile che si è separato a seguito di una sanguinosa e recente guerra civile. Tra le componenti etniche che la compongono, c'è anche quella ucraina.