Evin è la prigione del regime, chiamata anche Evin University per l'alto numero di studenti universitari, ragazzi e ragazze protagonisti delle proteste contro il regime, incarcerati nel corso degli anni. A nord di Teheran, il carcere di Evin è una prigione simbolo delle contestazioni al regime degli Ayatollah. Nasce prima della rivoluzione khomeinista, nel 1972. È concepito dallo Scià Reza Pahlavi per contenere e reprimere la contestazione politica in Iran. Dopo la rivoluzione del 1979 è diventato il principale centro di incarcerazione dei dissidenti, giornalisti, attivisti, membri di minoranze. La prigione è composta da due sezioni una maschile e l'altra femminile, i prigionieri vivono in celle comuni, sovraffollate e in pessime condizioni igieniche, oppure in celle di isolamento piccole, senza finestre e senza nessun contatto con le altre persone. Di qui sono passati, in questi anni, dissidenti arrestati dalla polizia religiosa. Il regista Jafar Panahi che ha fatto lo sciopero della fame per denunciare le disumane condizioni del carcere, liberato poi è riparato in Francia. La cittadina britannico-iraniana Nazanin Zaghari, avvocata per i diritti umani. Nasrin Sotoudeh celebre avvocata per i diritti umani, finita dietro le sbarre per il suo attivismo contro il velo. Anche l'attivista e premio Nobel per la Pace, Narges Mohammadi, in carcere per la sua mobilitazione contro la pena di morte. Con 15 mila detenuti in condizioni di sovraffollamento, il carcere di Evin è stato iscritto da Amnesty International nella black list degli istituti in cui si commettono abusi sui detenuti, torture e esecuzioni sommarie. Nel 2022 è qui che per 45 giorni è stata detenuta la blogger italiana Alessia Piperno.