Niente Facebook per almeno due anni, poi si vedrà. Il comitato dei supervisori indipendenti del social network ha stabilito che la sospensione dell'ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, decisa all'indomani dell'attacco al Campidoglio da lui incitato lo scorso 6 gennaio, resterà in vigore fino al giorno successivo nel 2023. Trump potrà poi essere riammesso solo se il rischio per la sicurezza pubblica, sulla base del quale fu cancellato il suo profilo, sarà rientrato. Bandito anche da Instagram, di proprietà di Facebook, cacciato a vita da Twitter, YouTube e Snapchat, l'ex Presidente più social di sempre ha replicato con un laconico comunicato stampa parlando di censura, definendo la decisione un insulto ai 75 milioni di persone che lo hanno votato alle elezioni che continua a definire truccate, e dicendo che quando tornerà alla Casa Bianca non inviterà più a cena Zuckerberg e la moglie. La scelta della società californiana fa in realtà parte della revisione di una controversa politica di moderazione dei contenuti che garantiva una sorta di lasciapassare ai personaggi politici nella convinzione che tutto ciò che dicessero fosse comunque di pubblico interesse. E della quale hanno beneficiato Trump negli Stati Uniti, ma anche altri soggetti dei quali Facebook non rivela i nomi in Ungheria e in Italia. D'ora in poi, invece, chiunque romperà le regole della compagnia sull'appropriatezza del linguaggio e dei contenuti sarà sanzionato con una sospensione di almeno un mese. E con un pubblico da 3 miliardi e mezzo di persone, è ovvio che si pongano diverse questioni. Chi decide, e come, che cosa è appropriato e cosa no? Ma anche: si può parlare di censura se una compagnia privata vieta l'utilizzo dei suoi servizi a chi non rispetta le proprie regole? E poi: esiste un qualche diritto costituzionale ad avere un profilo Facebook? Nel concreto, significa che Trump potrebbe tornare in possesso del suo account in tempo per le presidenziali del 2024. Sempre che intenda candidarsi, e che si ricordi la password.