La dinamica imprevedibile ma persistente della pandemia, la diffusione disomogenea dei vaccini, il rallentamento della produzione in tutto il mondo che ha ingolfato la distribuzione globale, una volta che gli stabilimenti sono ripartiti, causando una pressione sui prezzi più lunga del previsto è la catena di eventi che ha portato il Fondo Monetario Internazionale a rivedere al ribasso le previsioni di crescita del 2021. Ora è attesa al 5.9 per cento, un decimo meno, rispetto a 3 mesi fa sembra poco ma questa è la media, la realtà dei singoli paesi è molto più netta. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno subito una revisione al ribasso di un punto secco, dal 7 al 6 per cento, con la prospettiva di ulteriore riduzione se il Congresso non dovesse passare il costosissimo piano infrastrutturale di Biden che vale 4 trilioni di dollari. L'Europa invece si riprende mediamente meglio delle attese, più 5% un aumento dello 0,4. Italia su di quasi un punto, al 5,8% e ritorno a livelli pre-crisi il prossimo anno, grazie soprattutto alla domanda privata, mentre la spesa pubblica appesantisce il bilancio dello Stato, deficit oltre il 10% debito appena sotto al 155. La riduzione degli investimenti statali è invece la causa del leggero taglio delle stime sulla Cina, comunque accreditata, di una crescita del 8%. Nei G7 nessuno corre più del Regno Unito più 6,8. Nel resto del mondo invece la disparità di accesso ai vaccini aumenta drammaticamente le diseguaglianze. Se nelle economie avanzate oltre il 60% della popolazione è immunizzata nei paesi poveri il 96% non è vaccinato e quest'anno ci saranno almeno 65 milioni di persone in povertà estrema in più. Mentre il prossimo anno i paesi industrializzati saranno più ricchi di prima quelli in via di sviluppo saranno ancora più poveri di quasi il 7 per cento. Sul rallentamento della ripresa si addensano i timori per una inflazione persistente, dovrebbe rientrare a metà del prossimo anno, secondo il Fondo Monetario, che avverte le Banche centrali ad essere comunque pronte a contrastarla.