Avevano chiesto circa 200 miliardi, ne hanno ottenuti quasi la metà. Un tribunale di Tokyo per la prima volta dopo 11 anni di rinvii, archiviazioni, assoluzioni (l'ultima lo scorso 22 giugno quando la Corte Suprema aveva escluso ogni responsabilità del governo) ha riconosciuto un risarcimento di 13.000 miliardi di yen, equivalenti a circa 95 miliardi di euro, ad un gruppo di azionisti della Tepco, la società oggi semi pubblica che gestiva la centrale di Fukushima nel marzo 2011 quando prima il terremoto e poi lo tsunami provocarono il più grave incidente nucleare dopo Chernobyl. Il tribunale ha condannato in solido 4 dei 5 dirigenti chiamati in giudizio per non aver saputo prevedere il disastro e non aver ottemperato i suggerimenti delle autorità di innalzare barriere più adatte di quelle presenti al momento dell'incidente. È la somma più alta che un tribunale giapponese abbia mai concesso in un paese dove le cosiddette class-action non sono diffuse e soprattutto non producono grandi risarcimenti. Si tratta tuttavia di una sentenza in gran parte simbolica. A parte che sarà certamente appellata, ad essere stati condannati sono stati solo i 4 ex dirigenti della Tepco che dovrebbero di tasca propria risarcire la società in quanto citati da un gruppo di azioni per aver causati, con la loro negligenza, enormi danni finanziari alla stessa. "Una specie di giro di cassa che alla fine verrà scaricato sui consumatori attraverso l'aumento delle tariffe elettriche" ha commentato sarcastico l'avvocato Izutano Maraghi che in passato ha invano cercato di far ottenere adeguati risarcimenti agli abitanti di Fukushima. Nulla è stato infatti ancora riconosciuto a 11 anni di distanza a decine di migliaia di cittadini costretti, all'epoca, all'evacuazione e di cui circa 30 mila ancora oggi non possono o non vogliono tornare nelle proprie case.























