Un passo alla volta nella polvere, tra le macerie e senza troppi sguardi verso il mare che lambisce questo lento cammino. Prima l'esodo, lo sfollamento sotto le bombe o la fuga nel mirino dei cecchini. E ora finalmente il ritorno di decine di migliaia di persone che si affidano alla tregua in quella terra devastata che è la Striscia di Gaza. Vanno a casa, anche se casa ora non è altro che un cumulo di macerie. "La distruzione è enorme, indescrivibile, indescrivibile, quasi tutto distrutto. Non ci si può vivere. Prima ci volevano pochi minuti per raggiungere la strada da casa mia. Ora ci vuole oltre un'ora per scavalcare le macerie e raggiungere altre macerie, quelle della mia casa". "Non c'è molta gioia, ma il cessate il fuoco ci ha in qualche modo liberato dal dolore della morte e dallo spargimento di sangue dei nostri cari che hanno sofferto immensamente in questa guerra". Un cessate il fuoco che molti considerano estremamente fragile. "Questa tregua è debole e persino inesistente" afferma quest'uomo, anche lui sfollato da Gaza City. Da Khan Yunis, città a sud di Gaza, dove anche il campo profughi è stato più volte bombardato, c'è infine chi rinuncia a partire. "La situazione è tragica, non ci sono case, non ci sono strade, non ci sono auto in grado di muoversi. Ci spostiamo solo a piedi, la distruzione è totale. Cosa troveremo tornando indietro? Case distrutte oppure più nessuna traccia della nostra abitazione. Non c'è niente, non c'è vita. Ma molta gente vuole tornare indietro semplicemente perché pensa che sia meglio costruire una tenda sulle rovine piuttosto che stare lontano dalla propria terra". .























