Benjamin Netanyahu non parlava alla stampa dallo scorso dicembre. Mercoledì sera lo ha fatto con quella che a prima vista è sembrata un'apertura nel conflitto a Gaza. Siamo pronti ad un cessate il fuoco temporaneo, ha detto il primo ministro israeliano. Una tregua per vedere la liberazione dei 58 ostaggi israeliani ancora prigionieri nelle mani del gruppo palestinese Hamas, di cui si stima solo 20 siano ancora in vita. Poi però il leader del Likud è tornato ad elogiare l'offensiva nell'enclave, definendola un'operazione senza precedenti nella storia delle guerre, confermando la volontà di Israele di conquistare tutto il territorio della Striscia che, una volta terminato il conflitto, sarà controllato dalle forze di difesa israeliane. Netanyahu ha riproposto anche le condizioni per concludere la guerra: ostaggi liberi, Hamas che depone le armi, la sua leadership esiliata dalla Striscia, Gaza smilitarizzata e l'attuazione del piano Trump, ovvero spostare la popolazione palestinese in paesi terzi e fare dell'enclave la Riviera del Medio Oriente, condizioni che ad oggi non hanno avvicinato per nulla le parti ad un'intesa. Mentre la diplomazia arranca la situazione umanitaria a Gaza rimane drammatica perché nonostante Netanyahu abbia autorizzato la ripresa degli aiuti dopo 11 settimane di embargo, da lunedì solo un numero limitato di camion è riuscito ad entrare nella Striscia. E come denunciano le Nazioni Unite: nessun bene è stato distribuito, neanche un sacco di farina. .