"La nostra libertà dipende dalla libertà di stampa e questa non può essere limitata senza andare perduta". In questa frase di Thomas Jefferson è racchiusa tutta l'importanza per un paese di una stampa libera senza condizionamenti. Eppure nel XXI secolo ancora si racconta di giornalisti in carcere o uccisi per aver riportato fatti, denunciato sistemi e non essersi piegati a dittature. Il 3 maggio si celebra la giornata mondiale per la libertà di stampa. Nel 2023 i giornalisti in carcere, secondo il rapporto del Committee to protect journalist, erano quasi 400, oltre 500 per Reporter sans frontieres, secondo cui in 31 paesi la situazione è molto grave. Cifra che segna il punteggio più basso del rapporto, senza precedenti, rispetto ai 21 dei due anni precedenti. Corea del Nord, Cina, ma anche Iran, Siria, Cuba, Turchia, Russia sono solo alcuni tra i paesi con il maggior numero di giornalisti in carcere. E se il 2023 si è avvicinato ad un record negativo, il 2024 non sembra andare meglio. In Russia sono in attesa di un processo Sergey Mingazov, giornalista della rivista Forbes, e due i suoi colleghi. E resta in carcere, nel paese, anche Gershkovich, giornalista del Washington Post, accusato di spionaggio. Ma non solo. In Iran, dove in seguito alle proteste per la morte di Mahsa Amini, deceduta mentre era in stato di arresto per non aver indossato il velo correttamente, sono stati arrestati quasi una ventina di giornalisti per aver raccontato le rivolte, qualche giorno fa è finita in manette anche una reporter del quotidiano finanziario statale, Parisa Salehi, accusata di diffusione di propaganda contro il sistema. E c'è poi il conflitto in Medio Oriente, con l'impossibilità per i giornalisti di entrare nella striscia di Gaza, dove a raccontare quanto accade sono i reporter locali, che però, mano a mano, stanno andando via dopo l'uccisione di diversi colleghi. E a minacciare il giornalismo non ci sono solo guerre e regimi anche la disinformazione, la propaganda e l'intelligenza artificiale.