Un faccia a faccia di circa tre ore quello tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il segretario di stato americano Anthony Blinken a Gerusalemme, per tentare un'ultimo sforzo diplomatico per convincere il leader del Likud dell'urgenza di raggiungere un'intesa con Hamas per liberare gli ostaggi e soprattutto rinunciare all'operazione militare a Rafah. Ma niente da fare: Netanyahu si oppone ad un accordo che potrebbe includere la fine della guerra e ribadisce ancora una volta che l'operazione nella parte più a sud della Striscia di Gaza indipendentemente dal fatto che si raggiunga un accordo o meno con il Movimento Islamista Palestinese, si farà perché necessaria a sradicare l'ultimo bastione dell'organizzazione terroristica e dunque raggiungere così la cosiddetta vittoria totale. Nonostante le famiglie degli ostaggi chiedano a gran voce il raggiungimento di un accordo riponendo la fiducia nell'alleato americano, per il primo ministro israeliano invece, la pressione militare sembra ancora essere l'unico modo per riportare a casa le decine di ostaggi che ancora si trovano nelle mani di Hamas e di altre fazioni palestinesi all'interno della Striscia di Gaza. Mentre si attende la risposta di Sinwar, il capo dei capi di Hamas, alla proposta di una tregua mediata dall'Egitto, le chances che le trattative vadano a buon fine sembrano scarse. L'ostacolo principale è sempre lo stesso. La richiesta di un cessate il fuoco permanente da sempre respinto con forza dalla leadership dello Stato Ebraico.