È in Donbass che tutto si è complicato. Se la Russia nel 2014 prese la Crimea senza sparare un colpo, da quando gli attivisti filorussi aiutati dai primi nuclei del gruppo Wagner, assaltarono il Parlamento di Donetsk, i caduti delle battaglie nelle due regioni che compongono il Donbass non si contano. Sono decine di migliaia, ma più verosimilmente centinaia di migliaia. Dopo combattimenti feroci come quello dell'aeroporto di Donetsk, che dimostrarono l'inadeguatezza dell'esercito ucraino, nel 2014 finirono in mano russa o filorussa, i capoluoghi Luhansk e Donetsk e le terre circostanti, le più ricche di miniere in tutto il paese. Poi, da febbraio 2022, sono cadute, una dopo l'altra, al prezzo di migliaia e migliaia di morti e di milioni di profughi, Mariupol, Severodonetsk, Lisansk, Lsoledar, Bakmut, Avdiivka, città distrutte e spopolate. Adesso resta in mano ucraina, una porzione di territorio di circa 6mila chilometri quadrati, poco più grande della Liguria. Qui abitano ancora circa 252mila civili, di cui 18mila bambini. Da queste terre, che sono tra le più fortificate al mondo, secondo il primo piano Trump approvato da Mosca, gli ucraini dovrebbero ritirarsi e abbandonare città storiche della Resistenza come Kramatorsk e Sloviansk, bombardata anche nelle ultime ore. L'unica prospettiva russa è quella di conquistare comunque con le buone o con le cattive, tutta la regione di Donetsk, già annessa nel 2022 con un referendum, o con la diplomazia o con la forza, visto che l'avanzata dell'esercito ha raddoppiato il proprio ritmo tra la prima e la seconda metà di quest'anno. E poco importa che per fare questo ci possano essere altre migliaia di caduti. .























