Dopo il referendum l'attacco al Donbass sarà un attacco alla Russia. A questo serve infatti per il Cremlino la consultazione elettorale di annessione della Regione ucraina, che appare sempre più grottesca nella sua realizzazione. Anche perché è accompagnato dalla grande fuga dei tanti russi che non vogliono essere arruolati a forza attraverso quella che Vladimir Putin ha definito mobilitazione parziale, con code chilometriche, di chi tenta di sfuggire alla chiamata alle armi, dalla Georgia alla Finlandia e voli introvabili per tutti quei Paesi che non richiedono ai russi i visti per l'accesso. Perché all'esito già scontato di quei referendum considerati da Kiev dall'occidente una farsa e che però da oggi fino al 27 settembre porteranno alle urne, scortati dalla polizia filorussa, ma solo per ragioni di sicurezza, spiegano le autorità locali, gli abitanti delle sedicenti Repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk e delle Regioni di Kherson e Zaporizhia, Mosca non solo dichiarerà l'annessione alla Russia ma potrebbe anche pretendere di difendere i nuovi territori, da eventuali attacchi ucraini, usando anche le armi nucleari. Intanto però il Cremlino è costretto ad ammettere che all'annuncio dell'arruolamento dei suoi riservisti la reazione della popolazione russa è stata isterica. Lo testimoniano non solo le fughe di massa ai suoi confini ma anche le proteste che la repressione non riesce ancora a fermare. Certo è che non tutti sono destinati al fronte. Se il figlio di Peskov, portavoce del Cremlino, ha liquidato lo scherzo con cui gli si annunciava la leva obbligatoria facendo capire che avrebbe evitato il rischio chiamando semplicemente il potente padre c'è chi si dice fiero dell'arruolamento del figlio. Come il Governatore filorusso di Crimea che parla di legge uguale per tutti probabilmente dietro ordine dello stesso Cremlino che lo ha messo al potere nell'ex territorio ucraino. Se poi il figlio partirà davvero per il fronte sarà però molto difficile da verificare.