"La Russia non bombarda i civili." Pochi giorni fa, una deputata russa, l'ex spia Maria Butina condannata da Washington, parlava così, contro ogni evidenza, ai microfoni della BBC, tra lo stupore indignato del suo intervistatore, che le chiedeva di fornire prove. La propaganda russa è negazione dei fatti attraverso i più fidati sostenitori del regime e non soltanto. Il sito "Waronfakes", creato a inizio marzo, bloccato da Google, senza fornire anche qui prove, tenta un debunking delle accuse ucraine contro la Russia: non c'è alcuna guerra, è la linea ufficiale. I media nazionali danno conto di un'operazione militare per denazificare l'Ucraina. Chi usa il termine guerra in Russia, rischia il carcere. Da qui, la decisione di YouTube, di bloccare i canali delle emittenti di Stato. La Guerra della propaganda si è combattuta finchè si è potuto sui social. Su Twitter, diverse ambasciate russe, tra cui quella a Roma, hanno sostenuto che l'attacco all'ospedale pediatrico di Mariupol fosse una messinscena e hanno accusato una delle donne tra le immagini dei sopravvissuti al bombardamento, d'essere un'attrice prezzolata. Quando Twitter e TikTok hanno iniziato a bloccare fake news e bot russi, la macchina della disinformazione di Mosca ha limitato l'accesso ai social e fermato siti di news, come: BBC e Radio Free Europe. Prima che TikTok bloccasse il live streaming in Russia, giovani influencer locali hanno ripetuto, per giorni, lo stesso mantra in sostegno di Mosca. E quando Meta, quindi Facebook e Instagram, ha fatto sapere che non cancellerà i contenuti di odio contro le truppe russe, i due social sono finiti nella lista nera russa, i contenuti sono e saranno limitati.























