Iraq e Iran le analogie non mancano, a partire dalla percezione di un rischio imminente, allora era dato dalle presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein mai trovate ora dalla minaccia della bomba nucleare. Con buona pace di Tulsi Gabbard, direttrice della National Intelligence americana che solo lo scorso 25 marzo nella sua relazione davanti al Congresso, aveva dichiarato: "Continuiamo a ritenere che l'Iran non stia costruendo un tale ordigno e che la guida suprema Khamenei non abbia autorizzato il programma di armamento nucleare sospeso nel 2003". Benjamin Netanyahu sembra aver convinto Donald Trump del contrario e d'altronde già nel settembre del 2012 il premier israeliano si era presentato davanti all'assemblea generale delle Nazioni Unite con il celebre disegno della bomba. Facile l'accostamento con Colin Powell che nel febbraio del 2003 mostrò al mondo una fiala di finta antrace e immagini satellitari che a suo dire, documentavano la presenza di laboratori mobili per produzione di armi biologiche e la rimozione di materiali sospetti. Ora come allora, è anche scarso, per non dire pressoché inesistente il consenso internazionale. Ora come allora sembra esserci l'obiettivo di un cambio di regime con nessuna certezza circa i risultati e il fantasma di un altro stato fallito. Ma sono importanti anche le differenze. L'Iran non è l'Iraq, è più forte, più connesso tramite una serie di proxy, anche se notevolmente indeboliti e più strategico. Un conflitto aperto potrebbe generare una crisi regionale e globale ancora più vasta di quella irachena. Ad inizio del conflitto il premier polacco Donald Tusk ha esplicitamente parlato di rischio di terza guerra mondiale. È anche sicuramente un conflitto diverso da allora, è improbabile una classica invasione con occupazione. Secondo il Financial Times, ci si aspetta una guerra ibrida, cyber attacchi, operazioni navali, scontri indiretti tramite milizie. L'Iran controlla lo Stretto di Hormuz, cruciale per il traffico del petrolio. Un'ulteriore escalation avrebbe conseguenze economiche globali molto più ampie rispetto a quelle dell'Iraq. Infine, è bene ricordare che prima del conflitto del 2003 l'Iraq non aveva percorsi diplomatici attivi aperti. Solo domenica scorsa l'Iran si sarebbe dovuto sedere al tavolo con gli americani per il sesto round di colloqui proprio sul nucleare. Una strategia per prendere tempo da parte di Teheran, forse, ma una cosa è certa: la lezione del 2003 resta valida. La guerra è sempre più facile da iniziare che da concludere. .