La risposta è arrivata subito colpendo Erbil, la base americana nel nord dell'Iraq. Le milizie filo iraniane che erano state bersagliate dai raid statunitensi, una ritorsione dopo gli attacchi alle truppe Usa dislocate proprio nel Kurdistan iracheno, hanno usato un drone per replicare innescando così un altra escalation dagli esiti imprevedibili in un'area già incendiata dalle tensioni. Prima ancora erano stati compiuti raid dagli americani e dai britannici sulla postazione degli Houthi in Yemen che stanno sabotando il commercio mondiale rendendo insicura la traversata del Mar Arabico. Insomma dal Mediterraneo fino al Golfo di Aden è un incendio quasi incontrollabile con la miccia in mano a Teheran che ne decide l'intensità. Perché nel frattempo le possibilità di una tregua tra Israele e Hamas in cambio del rilascio gli ostaggi è ormai un'ipotesi remota, i miliziani palestinesi hanno respinto la proposta d'Israele chiedendo che la sospensione dei raid di Tsahal sull'enclave non abbia un limite temporale. Intanto anche la posizione politica dello Stato ebraico si complica sullo scenario internazionale con uno scontro sempre più acceso con il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha definito 'inaccettabile' il rifiuto di Israele della soluzione dei due Stati. Anche da parte israeliana però non si colgono segnali di una volontà a smussare gli angoli. Il Ministro per gli Affari e il patrimonio di Gerusalemme, Amichai Eliyahu, ha dichiarato senza alcuna remora che la sua soluzione per la crisi di Gaza è sganciare un'atomica. Mentre al valico di Kerem Shalom si sono radunate decine di manifestanti tra cui i parenti degli ostaggi per impedire il transito degli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile palestinese a dimostrazione che la situazione sembra sempre più su un piano inclinato verso il baratro.