In molti la chiamano già “guerra alimentare”. Quella che dagli allevamenti arriva dritta sulle nostre tavole. È la guerra che ormai da settimane combattono anche gli allevatori italiani, alle prese con rincari superiori anche del 100% di alcune materie prime come la farina di mais o di soia, necessarie per l’alimentazione del bestiame. "La nostra difficoltà principale riguarda la farina di soia che ha subìto un incremento molto importante: oggi parliamo di oltre 600 euro a tonnellata contro i 350 che, diciamo, è il prezzo storico di questo ingrediente". "Che è fondamentale per il mangime". "Sì, è fondamentale, soprattutto è assolutamente difficile autoprodurselo. Gli animali senza la farina di soia hanno subìto un calo produttivo, quindi questo è un problema perché -come dicevo prima- non è solo il calo produttivo, c'è un problema di benessere dell'animale stesso". Questo allevamento della provincia di Cremona è un esempio di economia circolare. Qui si producono circa 300 quintali al giorno di latte, i reflui vengono utilizzati per la produzione di biometano e la gran parte del foraggio per gli animali viene prodotta nei campi attigui. Eppure non basta. A monte c’è il problema delle materie prime –cereali in primis- della dipendenza dagli altri Paesi e della PAC, la politica agricola comune, che impone limiti alla coltivazione di terreni italiani, col paradosso che –proprio in virtù di questa politica– anche nel nostro Paese ci sono campi fertili ma non coltivati. "Chiediamo di congelare un attimo la PAC e vedere cosa si potrà fare per il futuro. Intanto abbiam chiesto di essere liberi completamente, quindi di poter seminare dove vogliamo e come vogliamo e su tutta la superficie che vogliamo".























