Precipita la situazione nella martoriata isola di Haiti, uno dei paesi più poveri del mondo, ormai da anni alle prese con una grave crisi politica e sociale in perenne emergenza umanitaria. Il presidente Jovenel Moise è stato ucciso da un commando straniero non bene identificato, freddato insieme alla moglie che inizialmente è stata trasportata in ospedale. Tutto è avvenuto nella sua abitazione durante la notte, con un "atto disumano e barbaro" così ha riferito il primo ministro ad interim Claude Joseph che ha aggiunto: "la polizia e l'esercito hanno la situazione sotto controllo". Parole che stridono con quanto accade nelle strade della capitale dove riecheggiano i colpi delle armi da fuoco. L'attacco è avvenuto nel mezzo di una crescente ondata di violenze. Sequestri lampo, spargimento di sangue quotidiano ad opera di gang e di un gruppo paramilitare che spadroneggiano nei quartieri off limits. La miseria più profonda, l'assenza di servizi sociali sanitari ed educativi e l'instabilità politica fanno di Haiti una polveriera. Un Paese già duramente colpito dal terremoto del 2010 e da una successiva epidemia di colera. Il Presidente aveva cavalcato questa situazione instaurando di fatto una dittatura, oltrepassando il suo mandato e diventando più autoritario. Duramente contestato dall'opposizione Moise governava per decreto da più di un anno, dopo che il Paese non aveva tenuto le elezioni legislative e voleva far passare una controversa riforma costituzionale. Gli Stati Uniti definiscono "terribile" e "tragico" l'assassinio del Presidente e annunciano la chiusura della loro ambasciata. Mesi fa la Casa Bianca aveva condannato la sistematica violazione dei diritti umani, delle libertà fondamentali e degli attacchi alla stampa in atto ad Haiti.