Instancabili i parenti degli ostaggi continuano a farsi sentire. Manifestazioni, sit-in permanenti e proteste scandiscono le giornate in Israele. La richiesta al governo è la stessa per tutti: riportare a casa gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. "La nostra vita è fermata al 7 ottobre. Noi ogni giorno ci alziamo e chiediamo a noi stessi cosa possiamo fare per far tornare Elad il più presto possibile e con 134 ostaggi". Dalit è venuta in Italia per far sentire la voce della sua famiglia. Suo cugino Elad Katzir, rapito nel kibbutz Nir Oz, è ancora nelle mani di Hamas. Lo zio Rami, ucciso dai terroristi il giorno dell'attacco, e la zia Hanna, rapita e portata a Gaza e poi rilasciata. Oggi ancora in ospedale con il corpo ferito e l'anima spezzata. "Noi ogni volta pensiamo se è sufficiente o non è sufficiente. Noi facciamo sempre le cose diverse, ogni settimana, ogni mese cambiamo le cose ma la richiesta è sempre la stessa richiesta: portare tutti a casa". Riportare a casa queste persone è la priorità. Nel 2011 per riavere il soldato Gilat Shalit, Israele aveva liberato un migliaio di detenuti palestinesi. tra questi anche l'attuale leader di Hamas Sinwar, uno dei principali responsabili dell'attacco del 7 ottobre in Israele. "Per noi la vita conta più di ogni cosa e quindi la vita deve essere rispettata e salvata. Così pure i morti. Nella religione ebraica i corpi devono essere sotterrati direttamente nella terra perché il corpo ritorni polvere. Addirittura in questa situazione atroce che stiamo vivendo, abbiamo dovuto sotterrare parti delle macchine bruciate perché delle parti di corpo non si potevano staccare".