Bruciano i loro veli, tagliano i loro capelli. Gesti simbolici che in queste ore diventano potenti atti politici contro le violenze. In Iran le proteste per la morte di Masha Amini, la 22enne picchiata a morte dalla polizia morale di Teheran perché non portava il velo in modo appropriato, continuano da quasi due settimane e contagiano il mondo. Le vittime della repressione governativa nella Repubblica islamica sono già diverse decine, quasi 3.000 agli arresti, ma le donne restano in piazza per ribadire che quel velo che oggi brucia deve essere una scelta, non un'imposizione. Conoscono i ricchi ma vogliono dimostrare che la libertà e la dignità non possono essere calpestate. E mentre da decine di Paesi nel mondo, dall'Argentina alla Siria, dagli Stati Uniti alla Grecia, si moltiplicano appelli a segno della rivolta e il mondo chiede al regime di mettere fine alle violenze, la polizia iraniana risponde che userà tutta la forza contro i manifestanti promettendo il pugno duro contro quelle che vengono definite cospirazioni di controrivoluzionari ostili. Solo qualche ore prima un forte invito a non usare una forza sproporzionata contro le proteste era stato avanzato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres, preoccupato per il crescente numero delle vittime.























