Mahsa Amini, Nika Shakarami. Sono solo alcuni dei nomi delle donne uccise in Iran per aver chiesto di essere proprietario del proprio corpo, per aver rifiutato l'imposizione del Governo di indossare il velo, per aver manifestato. "Le hanno colpito la nuca deformandole il cranio. È così che mia figlia è stata uccisa." Con queste parole e uno sguardo assente, la madre di Nika Shakarami, racconta delle ferite sul corpo senza vita dell'adolescente, morta durante le proteste, smentendo la versione della Magistratura, secondo la quale sarebbe morta dopo essere caduta da un edificio. Versioni simili arrivano delle autorità anche per la morte delle altre donne. Per Sarina, che secondo la Procura si sarebbe suicidata e per Mahsa Amini, che invece sarebbe finita in coma per le conseguenze di una malattia infantile e non per le percosse subite. Tutto, pur di non ammettere che la popolazione vuole un cambiamento. Come continua a sostenere il Presidente Raisi, che in una visita a un'università di Teheran, ha invitato gli studenti a non seguire le rivolte, ideate, secondo lui, dai nemici dell'Iran. Il Presidente è all'università, mentre gli studenti sono in galera: "Non vogliamo un assassino come ospite", hanno risposto dall'altro canto i giovani, che da oltre 3 settimane manifestano contro il regime, per chiedere più diritti e libertà, mentre le forze di sicurezza continuano a sparare sulle piazze usando gas lacrimogeni e arrestando i dissidenti. In totale, secondo l'ONG Iran Human Rights, dall'inizio delle proteste sarebbero morte 185 persone. Un numero che però non basta a fermare un popolo che non accetta più di essere zittito. Da Teheran a Shiraz, il sogno degli iraniani si scandisce in quello che è diventato lo slogan della rivolta: "Donna, vita, libertà.".























