Parte la nuova fase del programma Nazer-1 in Iran. E in farsi, Nazer significa "sorveglianza". Obiettivo: ancora le donne e il loro modo di indossare il velo. Un funzionario di polizia ha spiegato che il monitoraggio riguarderà l'assenza dell'hijab nelle auto, e l'invio di un SMS a chi trasgredisce. Dopo 3 mesi di proteste, scatenate dalla morte della 22enne Mahsa Amini mentre era in arresto proprio per non aver indossato correttamente il velo, il controllo sull'applicazione del rigido codice di abbigliamento della Repubblica Islamica resta pressante. Inoltre, segnalazioni tramite social indicano la ripresa delle attività delle pattuglie dell'Irshad, la polizia morale, che a inizio dicembre sembrava essere stata sospesa. Nonostante questo, le proteste anti-regime non si fermano e cresce il numero delle vittime della repressione. Come Mehdi Zare Ashkzari, che aveva poco più di 30 anni ed era stato arrestato per aver partecipato ad una manifestazione. Rilasciato dopo essere stato picchiato e torturato, è finito in coma per 20 giorni, poi la morte. Aveva studiato farmacia in Italia, a Bologna, la stessa università frequentata da Patrick Zaki. Il pugno duro delle autorità iraniane, apparentemente non mostra crepe. Anzi. Due le condanne capitali già eseguite, molte altre comminate. Mentre Sara Khadem, la scacchista che hai mondiali in Kazakistan ha giocato senza l'hijab obbligatorio e ora disconosciuta dal suo Paese, non tornerà a casa. Si trasferirà forse in Spagna con il marito regista e il bimbo di un anno. Un nuovo anno è iniziato nella Repubblica Islamica, esattamente com'era finito il precedente: arresti arbitrari, processi sommari, sentenze farsa, repressione feroce, per tentare di domare una rivolta oramai totale contro il regime teocratico.