Un coro intonato insieme, da uomini e donne, sono studenti della facoltà di ingegneria di Ahvaz, in Iran. Le parole sono quelle del cantante iraniano Shervin Hajipour, arrestato e poi rilasciato dopo che la sua canzone era diventata l'inno della protesta innescata nel Paese dall'uccisione della 22enne Masha Amini. Oggi, al quarantesimo giorno dalla sua morte, data di fine del lutto islamico, commemorazioni e proteste si susseguono in tutto l'Iran, anche se in realtà non erano mai finite. Qui siamo in una delle università di Teheran. Il timore del Governo è tale che in diversi centri si registra un pesante dispiegamento di forze di sicurezza per le strade. A Saqqez, la città del Kurdistan iraniano dove era nata Mahsa Amini, per motivi di sicurezza il Governo ha bloccato anche l'accesso a internet, mentre i militari hanno esploso colpi d'arma da fuoco e lanciato gas lacrimogeni contro i manifestanti che si erano riuniti vicino alla tomba della ragazza, nonostante le ingenti misure per evitare assembramenti. Colpi d'arma da fuoco e lacrimogeni anche nella capitale contro diversi medici che si erano radunati davanti all'organizzazione disciplinare del loro ordine professionale, uno specializzato in medicina legale è stato arrestato per aver contestato pubblicamente il rapporto ufficiale sulla morte di Mahsa. "Mahsa è morta per le percosse della Polizia", accusa il comunicato letto dall'uomo prima di essere portato via, mentre il vice capo del consiglio dei medici si è dimesso in segno di protesta contro la repressione della dimostrazione.























