Per i palestinesi quello della firma degli accordi di normalizzazione tra Israele, Emirati Arabi e Bahrein è un giorno nero. Ha parlato così, da Ramallah, Mohammed Shtayyeh, premier palestinese, mentre in strada è stata organizzata la protesta. L'intesa raggiunta dai due Paesi del Golfo e Israele ha creato un raro momento di unità tra la leadership palestinese, divisa politicamente e geograficamente tra Gaza, controllata da Hamas, e la Cisgiordania, dove siede il Presidente Abu Mazen. C'è stato infatti un incontro tra i capi nei giorni scorsi proprio per affrontare quello che assieme hanno definito una pugnalata alle spalle. L'accordo, mediato dall'amministrazione Trump, neutralizza un dogma di lungo corso nella regione. Per decenni la normalizzazione tra mondo arabo e Israele è stata legata alla fondazione di uno stato palestinese indipendente. La firma a Washington cambia gli equilibri. Emirati e Bahrein sono rispettivamente la terza e quarta nazione araba ad avviare relazioni diplomatiche con Israele dopo Egitto e Giordania. Dall'ultimo di questi accordi a oggi sono passati 26 anni. I palestinesi hanno cercato pochi giorni fa alla Lega Araba la solidarietà dei governi della regione, ma la sempre più debole istituzione araba ha rifiutato di condannare l'intesa annunciata ad agosto. La decisione del Bahrein di seguire i passi degli Emirati è stata invece accolta con favore dal vicino e piccolo Oman, che già nel 2018 aveva invitato il premier israeliano Benyamin Netanyahu. E il fatto che l'Arabia Saudita abbia concesso il proprio spazio aereo al volo che ha portato ad Abu Dhabi la prima delegazione israeliana a fine agosto racconta un'altra, seppur limitata, apertura. Unica forte presa di posizione e condanna nella regione non arriva dal mondo arabo ma dall'Iran, dove la Guida Suprema, l'Ayatollah Ali Khamenei, ha definito la scelta degli Emirati un tradimento contro i palestinesi e l'intero mondo musulmano.