Un bambino viene sollevato verso le braccia di un uomo a bordo di uno dei pullman della Croce Rossa Internazionale, che riporta dentro Gaza 1700 persone, incluse donne e qualche minorenne, prelevati dall'enclave durante questi due anni di conflitto dall'esercito israeliano e detenuti senza accuse né processo. Una folla tutt'intorno li aspetta, per molti è il ritorno a casa tanto atteso, per altri è il ritrovare una libertà svuotata dallo scoprire che la loro famiglia è morta, e che la loro casa non esiste più. Nelle stesse ore quelle in cui Donald Trump fa il suo ingresso alla Knesset, 154 detenuti con pene ergastolane o pesantissime, dovute a omicidio, tentato omicidio, attraversano il confine verso l'Egitto per essere poi esiliati in altri Paesi. Le loro famiglie denunciano "Le autorità israeliane non ci hanno rilasciato i permessi per viaggiare verso il Cairo". Nel frattempo tornano a casa anche le persone scarcerate di Gerusalem Est e di Ramallah. Ovunque i festeggiamenti sono proibiti. Tutti i familiari dei detenuti hanno subito intimidazioni. Vietato parlare con la stampa, vietato sventolare bandiere palestinesi, vietate le celebrazioni. Alcuni svengono per la felicità, altri rimangono delusi. Chi stavano aspettando è stato deportato, ma nessuno li ha avvisati. Nessun nome pesante della politica palestinese è stato rilasciato in questo scambio, così come nessun esponente di spicco della società civile di Gaza. Qualcuno dice "Vogliamo solo la pace, speriamo che sia tutto finito". Altri invece sono di opinione contraria, "Non può finire niente fino alla creazione di uno stato palestinese". . .























