Lì, in quel genocidio, abbiamo rischiato la vita continuamente tutti i secondi. Quindi per dare un esempio dall'inizio del genocidio era la prima volta che sentivo qualcuno sparare, che sentivo gli spari, non avevo mai visto qualcuno morire fino all'età di dieci anni. Invece ogni volta che venivano ad uccidere persone, per esempio in parrocchia, continuamente avevo la paura di morire anche io. Ho visto per esempio questa famiglia che mi ha ospitato, che era hutu, anche loro ci nascondevano, però avevano veramente la paura di essere uccisi anche loro. La paura ci accompagnava. Il mio villaggio, era un villaggio comunque di tutti famigliari. Dopo il genocidio non c'era nessun uomo, maschio, in quanto genere maschile. Eravamo soltanto bambini maschi di circa 10 anni, quei maschi grandi erano tutti uccisi. Chi vive il genocidio, quella paura non finisce purtroppo, perché ogni cosa, anche ogni atteggiamento che porta alla discriminazione ti ricorda quella paura. Io ho sposato una donna hutu, e poi ovviamente i nostri figli sono soltanto ruandesi. Questo è una cosa che per noi ruandesi è semplicemente frutto di ciò che sta succedendo adesso, cioè che si sta cercando di non puntare gli occhi soltanto sul passato, ma di andare avanti. Questo sono io e la mia storia, ma sicuramente sarà la storia di qualcun altro che cerca di non fare quello che i nostri genitori hanno subito.