Il primo segnale del cambiamento è dato già dal viaggio. Prima molte compagnie aeree ci atterravano ogni giorno, oggi solo quelle che fanno parte della black list europea. Pochissimi gli scali da cui si parte, tutti in Medio Oriente o in Pakistan. Poi dopo una sorta di odissea nei cieli, Kabul appare nel nostro finestrino, arida, polverosa e povera. E sì, anche il nome. Non più Hamid Karzai ma semplicemente Kabul International Airport. La Shahadah, la dichiarazione di fede di ogni musulmano, campeggia all'ingresso della capitale afghana. È la bandiera degli studenti del Corano ed è disegnata e sventola un po' ovunque. Ma nello scalo, nonostante l'attenzione generale sia tornata a illuminare l'Afghanistan per l'anniversario della riconquista da parte dei talebani, praticamente non ci sono stranieri. Muoversi senza dare nell'occhio è impossibile perché tutti indossano il pirhan tumban, l'abito tradizionale, e nessuno, contrariamente a un anno fa, sfoggia abiti occidentali. Il traffico è rimasto caotico e la sorveglianza occhiuta dei talebani è evidente. Check-point, controlli del traffico, caserme presidiate da militari che sfoggiano divise e armi americane. Una sottile tensione si percepisce al passaggio di persone col turbante nero. "Quelli sono taliban", sussurra il nostro autista, tra il beffardo e l'intimorito. Un anno dopo Kabul potrebbe sembrare la stessa un primo sguardo, è più povera non ci sono stranieri e soprattutto non ci sono quasi donne per strada. "E però c'è da dire che non è mai stata ricca come città. Certo, c'erano meno bambini che facevano accattonaggio, le donne non sono mai state davvero troppo appariscenti e la comunità internazionale viveva soprattutto nella cosiddetta Ka-bubble, la green zone, nel quartiere ... che abbiamo attraversato". C'è una altro dettaglio però che colpisce una metropoli di 4 milioni di abitanti da sempre caotica e vivace, con l'arrivo degli studenti del Corano un silenzio profondo è calato su Kabul, dove è scomparsa la musica.























