Libano, ancora braccio di ferro con il governo

23 ott 2019
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Jamaize, poco dopo le 10 del mattino, siamo in uno dei quartieri più vicini al centro, il cuore della protesta e della movida beiruttina. In televisione le immagini che provengono dalla zona nord orientale della capitale rimandano a scenari preoccupanti. Le forze dell'ordine stanno sgomberando con la forza alcuni blocchi stradali che da quasi una settimana bloccano la città e tutto il paese. In piazza Aria del Sol i manifestanti stanno diventando sparuti, ma non meno determinati, in parte per il cattivo tempo, in parte, però, sta facendosi largo un certo scoraggiamento perché, dopo giorni di presidio delle piazze e delle strade, sembra la protesta avere imboccato un vicolo cieco. “Sono qui in piazza perché sono povero - ci dice Alì, 26 anni, sciita - e non sono riuscito a pagarmi gli studi. Per questo rimarrò finché non otterremo quel che chiediamo!” Già, ma che cosa chiedono i manifestanti? “Chiediamo che il Governo dia le dimissioni” ci dice un altro ragazzo. Anche lui si chiama Alì e probabilmente anche lui è sciita. “Vogliamo che venga sostituito da tecnici competenti. Non vogliamo più questa classe corrotta!” Cerchiamo di capire di più, incontrando Pierre Abi Saab, vicedirettore di al Akhbar, La Notizia, uno dei più influenti quotidiani libanesi. Sostiene Hezbollah e non è il suo organo ufficiale, ma, dato che il partito di Dio non lascia interviste, è la fonte più vicina. E anche lui dice di condividere le proteste, così come anche il suo leader, Hassan Nasrallah, ma ha paura. “Ho paura che questa protesta diventi una guerra civile - ci dice - non sono allarmista, ma, vedete, scendere in piazza per chiedere il cambiamento senza un programma preciso rende i giovani più vulnerabili e influenzabili, quindi sì al cambiamento, ma solo se si ha una roadmap precisa. Quella di Abi Saab è una posizione più condivisa di quel che non sembri.” Sul ponte di Sna ogni giorno migliaia e migliaia di macchine sono bloccate dal traffico. Del resto collega due quartieri centrali della città, Achrafieh e Hamra, ma in questo momento è totalmente vuoto. Non si vedono passare altri mezzi che non siano quelli dell'esercito o alcuni motorini o delle ambulanze. Questo a causa dei blocchi. Alle mie spalle c'è il blocco delle forze armate, davanti a me c'è il blocco dei manifestanti, una contrapposizione che forse potrebbe vedersi sciolta nelle prossime ore. Ora gli occhi sono puntati su questi blocchi. Opporranno resistenza? E come si comporteranno i manifestanti? A sud le strade sono sgombre, ma a nord, vicino Tripoli, il Paese è ancora paralizzato.

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