Tra pochi giorni saranno 16 i mesi trascorsi in carcere da Patrick Zaki. 16 mesi in una cella del complesso di Tora a Il Cairo, per lo studente egiziano dell'Università di Bologna, arrestato il 7 febbraio dello scorso anno. Accusato di aver partecipato ad azioni di propaganda sovversiva su internet, dovrà passare altri 45 giorni in custodia cautelare. Proroga decisa dai giudici in un'udienza a porte chiuse, durante la quale non ha potuto nemmeno incontrare i suoi legali, non ammessi in aula, né l'avvocato della delegazione Europea, e nemmeno il rappresentante diplomatico italiano. Arrestato in aeroporto, appena rientrato in Egitto, per Patrick sussiste anche l'accusa di "tentativo di rovesciare il regime", reato, questo, punibile con l'ergastolo. In questi lunghi mesi si sono susseguiti gli appelli di autorità, partiti, associazioni per i diritti umani, meno di un mese fa la mozione del Senato per concedergli la cittadinanza italiana. Ma finora nulla è servito: non è stato avviato un vero processo, non è stato scarcerato, né si è aperto uno spiraglio di mediazione per arrivare a una soluzione della vicenda. E il giudice egiziano incaricato di decidere del destino di Patrick, non fa che rinnovare la detenzione, di udienza in udienza, sempre uguale. Una tortura. Per Amnesty International, la prova di un accanimento giudiziario nei confronti di Zaki che compirà 30 anni il prossimo 16 giugno. Protagonista di un incubo, chiuso in una cella, vittima di ansia e depressione, solo senza un sostegno sanitario adeguato per la sua schiena, per la sua asma e senza aver nemmeno, ancora ricevuto il vaccino.