Combattere per una causa vinta può essere difficile. Pochi, confusi e spaesati, i manifestanti antiabortisti hanno inscenato ieri l'annuale marcia per la vita per le strade di Washington. Ma invece di concluderla davanti alla corte suprema come hanno fatto per quasi 50 anni chiedendo l'abolizione della legge che sancisce il diritto all'interruzione di gravidanza, si sono diretti alla cupola di fronte, il Campidoglio degli Stati Uniti. Quella storica legge del '73, la Corte l'ha infatti già stralciata sette mesi fa rimettendo ai singoli Stati la capacità di legiferare sull'aborto, innescando una confusa nebulosa di norme diverse. Stati repubblicani contro, democratici a favore, in mezzo qualche giudice a vietare i divieti o sospendere le sospensioni. Il risultato è che la vittoria ideologica degli antiabortisti è una vittoria di Pirro. L'aborto in America oggi è solo più complicato, pericoloso e costoso. Il nuovo movimento chiede quindi cose sensate, come più aiuti per le famiglie e le future madri, e cose meno sensate come l'incriminazione per omicidio di chiunque aiuti una donna ad interrompere la gravidanza, addirittura dal momento del concepimento, perfino in casi estremi di violenze. Lo chiede al Congresso dove la battaglia diventa nuovamente una causa persa, perché il Senato è a maggioranza democratica, e anche perché pure per i repubblicani il tema è spinoso. I conservatori lo hanno cavalcato quando ha fatto comodo, ma sono i primi a non voler spendere in welfare e hanno qualche problema di coerenza quando, da sedicenti campioni di libertà, sostengono che una donna non sia libera di decidere del proprio corpo ma al suo posto possa farlo un'assemblea statale. La libertà agli americani non la devi toccare, lo dicono tutte le statistiche. Oltre il 60% ritiene che l'aborto sia un diritto, punto. È nei dettagli di come adesso potrà essere ristretto e limitato, che si gioca il futuro di quel diritto perduto.