Migliaia di persone stanno lasciando in queste ore la parte orientale della cittadina di Rafah, l'ultimo grande centro della Striscia di Gaza nel sud del piccolo territorio palestinese in cui l'esercito israeliano non è ancora massicciamente entrato. Molti di loro sono già sfollati dal centro e dal nord della Striscia, dove si combatte da mesi. I militari israeliani per la seconda volta in meno di 10 giorni hanno ordinato ai residenti dell'area con SMS, telefonate, volantini lanciati dagli aerei, di evacuare, oltre 150mila persone avrebbero lasciato già i sobborghi orientali della cittadina. Scappano sapendo che quegli avvertimenti significano una probabile imminente operazione militare di terra che Israele ha nei giorni scorsi, in realtà, iniziato, ma che resta, per ora, limitata sia geograficamente, sia a livello dei combattimenti, ma che se ampliata, rischierebbe di causare come teme la comunità internazionale migliaia di vittime. I civili scappano verso una zona indicata dall'esercito israeliano che i militari definiscono umanitaria e protetta lungo la costa, quindi a sud-ovest, ma che secondo le associazioni per i diritti umani è un campo profughi sempre più affollato, in cui le condizioni igienico-sanitarie sono pessime, manca l'acqua corrente e il rischio del propagarsi di malattie è alto e la disperazione della popolazione cresce ogni giorno di più. Preoccupa la comunità internazionale l'accesso degli aiuti umanitari nella Striscia, da quasi una settimana Israele controlla il valico di Rafah, tra Gaza e l'Egitto, al momento inattivo. Resta aperto, sempre a sud, Kerem Shalom, tra la Striscia e Israele, ma nelle ultime ore lanci di razzi da Gaza ne avrebbero compromesso l'operatività.























