Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, ha parlato alla nazione 24 ore dopo l’uccisione di Saleh al-Arouri, il numero due dell'ufficio politico di Hamas. Ma la chiamata alle armi, che tutti temevano, non è arrivata. L'imam ha però messo in guardia Israele. Se lo stato ebraico dovesse intraprendere una guerra contro il Libano, lui e i suoi uomini combatteranno senza limiti, ovvero senza rispettare le regole d'ingaggio finora seguite. Dall'8 ottobre, il giorno dopo gli attacchi sferrati da Hamas in Israele, gli scontri a fuoco transfrontalieri tra gli uomini armati di Hezbollah e l'esercito israeliano sono stati mirati e a bassa intensità, con l'obiettivo preciso di dividere le forze di Tel Aviv, tenendole occupate su più fronti e, dunque, indebolirle. Ma dopo l'operazione ad Dahiyeh, il rischio di un'escalation è diventato reale. D'altronde Hezbollah, in passato, aveva già ammonito che se Israele avesse colpito Dahiyeh, il movimento avrebbe bombardato Tel Aviv. Eppure, nessuno, in realtà, beneficerebbe da un allargamento del conflitto. Israele conosce bene la capacità militare di Hezbollah che vanta un arsenale di 150.000-200.000 razzi e missili, armi fornite dall'Iran, e che colpire direttamente il Libano vorrebbe dire dichiarare guerra a Teheran. Dall'altra parte, se Hezbollah decidesse di unirsi all'offensiva lanciata da Hamas sotto la bandiera dell'unità dei fronti della resistenza, il Libano verrebbe trascinato in un ciclo di violenza devastante che distruggerebbe il paese. Intanto, in questo clima di tensione, il Cairo ha congelato il suo ruolo di mediatore tra lo stato ebraico e le fazioni palestinesi nei negoziati sugli ortaggi. E 12 paesi, tra cui l'Italia, hanno chiesto la fine immediata degli attacchi portati avanti dagli Houthi, i ribelli filo iraniani dello Yemen, alle navi commerciali che transitano nel Mar Rosso, punto strategico del traffico marittimo internazionale.