Un uomo tenta disperatamente di aprire a calci la porta di una cella l'unica via d'uscita mentre fiamme e fumo riempiono rapidamente la stanza. Al di là delle sbarre, tre agenti in uniforme sfilano fuori dall'inquadratura senza fare il minimo tentativo di aprire la porta e liberare i detenuti. Lunedì notte il centro di detenzione dei migranti di Ciudad Juarez tra Messico e Stati Uniti, si è trasformato in un inferno. Un incendio divampato in pochi secondi per cause ancora da chiarire, le autorità parlano di una protesta dei detenuti. 15 donne sono state evacuate ma decine di altre persone provenienti da Centro e Sud America sono rimaste intrappolate, i morti sono almeno 38. La contraddittoria politica americana sull'immigrazione, "Siamo il Paese dell'accoglienza ma non venite", ha portato lo scorso anno all'arresto di quasi due milioni e mezzo di migranti, record mai raggiunto, in aumento del 37% sul 2021. Gli accordi col Messico prevedono che sia quest'ultimo con tutte le sue carenze, a tenerseli in casa, gli Stati Uniti se ne lavano le mani così con qualche annuncio di corsie preferenziali per motivi umanitari che non risolvono un problema cronico, lasciando le città di frontiera come El Paso in Texas ad anni luce di distanza dall'idea di sé che l'America racconta al resto del mondo.