Polo grigia, pantalone beige, del volto si vede poco. La fronte è coperta dai capelli, la mascherina lascia scoperto solo il naso, la montatura degli occhiali incornicia uno sguardo furtivo, si muove a scatti Tetsuya Yamagami e tiene ben strette e incrociate le braccia sul petto, che nel linguaggio del corpo rappresentano la chiusura verso il mondo esterno, una comunicazione non verbale che indica disagio, ansia, paura. Chissà a cosa pensava Tetsuya Yamagami qualche minuto prima di tirare fuori quell'arma rudimentale che aveva costruito da solo e che aveva avvolto nel nastro adesivo nero per nasconderla ma anche per rinforzarla, una pistola piccola ma potente. Forse ripensava a quella setta a cui riteneva legato Shinzo Abe di cui ha parlato con gli inquirenti, a quell'odio, a quel rancore che hanno fatto maturare la sua decisione di sparare per uccidere l'ex Premier giapponese. Nei frame successivi si vede l'ex militare 41enne che cerca di scappare, non sembra spaventato quando viene bloccato e scaraventato a terra dagli agenti della sicurezza di Abe disarmati e non sembra avere raccontato molto sulle ragioni del suo gesto se non che riteneva Abe vicino ad una setta religiosa. L'uomo che aveva servito le forze armate di Tokyo per quasi 3 anni aveva lavorato in un'azienda manifatturiera fino a maggio. Yamagami avrebbe organizzato l'attentato nel suo appartamento di Nara dove sono stati ritrovati diversi ordigni rudimentali. Questa donna di 69 anni lo ha incrociato nel palazzo il giorno prima, uscendo dall'ascensore, era molto nervoso ha raccontato, non aveva voglia di interagire con nessuno, sembrava turbato come nell'ultima immagine prima dell'attentato.























